Come gestire l'eredità digitale del proprio "caro estinto"
Social, post e account
allungano la vita in rete
MAURO SPIGNESI
Quando una persona scompare, nell’era del digitale si porta appresso le proprie spoglie telematiche. Un fagotto di dati, username, password, like e altre tracce di una attività attraverso social, banche dati, ricerche in Rete e messaggi. Ecco perché anche morire oggi, rispetto a trent’anni fa, è diverso. Perché diversa è la società e i parenti devono fare i conti con questa eredità virtuale. Una eredità - a patto che si conosca - spesso ingombrante e, a volte, imbarazzante. Entrare in chat, in programmi di messaggistica o sui social - se si trova la password per "introdursi" su un telefonino, un tablet o un computer - vuol dire anche necessariamente violare l’intimità, leggere qualcosa che la persona deceduta magari voleva tenere solo per sè. Ecco che, forse, ancora in vita tutto ciò andrebbe valutato. Per non lasciare (amare) sorprese ai propri cari, per non far loro scoprire ciò che per una vita si è tenuto nascosto.
Gestire un’eredità telematica comporta tutta una serie di passaggi, documenti, attestazioni, lettere per andare a bloccare account, tracciare l’attività della persona defunta. Alcuni provider offrono pagine dedicate dove spiegano, tappa dopo tappa, come fare per cancellare una identità. O per tenerla in vita in maniera differente. Come fa, ad esempio, Facebook che offre, ormai dal 2009, due strade: annullare immediatamente l’account oppure renderlo, come si spiega nel sito, "commemorativo", cioè trasformarlo in una pagina che permetta ad amici e parenti di lasciare un ricordo, una frase, una fotografia, preservando insieme la sicurezza in modo che nessuno possa accedere al profilo. Per far ciò bisogna rivolgersi agli amministratori di Facebook, e può farlo un parente o un amico stretto, che dimostri tuttavia la relazione con la persona deceduta.
Ma il popolare social consente di percorrere anche un’altra strada, cioè quella di un erede digitale, meglio ancora di un "contatto erede", cioè si può nominare sin da subito una persona che si occupi di amministrare le "spoglie telematiche".
Poi c’è la posta. Google (per diverse sue applicazioni) dopo un periodo di inattività progressivamente fa scattare una serie di protezioni. E una volta che un parente della persona deceduta si fa avanti gli viene richiesto un certificato di morte e una carta d’identità per chiudere l’account. Lo stesso vale per quanto riguarda tutto ciò che è stato aperto con Swisscom, che non trasmette a nessuno le password.
Anche la trafila che occorre compiere su Microsoft, che comprende la disattivazione non soltanto di account ma magari anche l’abbonamento a certi software popolari sottoscritto dalla persona deceduta, è piuttosto complicata. Vengono chiesti documenti e certificati che provino che le persone che domandano di intervenire hanno effettivamente un legame di parentela con lo scomparso. Linkedin oltre alla data di morte e ai soliti certificati, accetta un link di collegamento magari a un necrologio o a un articolo di giornale per iniziare la procedura di cancellazione.
Instagram offre la possibilità di compilare un modulo e di scegliere se bloccare e poi chiudere il profilo oppure, scelta simile a quella di Facebook, avere come pagina-ricordo della persona. In quest’ultimo caso like, messaggi e post condivisi sono visibili a tutti e non solo a una cerchia di amici.
Diverso il discorso dei conti bancari online o di servizi come PayPal. In questi casi si può bloccare cautelativamente il conto e poi riattivarlo una volta che gli eredi consegnano alla banca i documenti come una eredità certificata da un notaio. Più difficile bloccare invece abbonamenti che vengono rinnovati automaticamente, come quelli alle riviste o a Netflix o Spotify. Anche in questo caso per revocare il servizio occorre inviare documenti e certificati. m.sp.
22.09.2019