Resta sospeso il futuro dell'intesa fra Plrt e Ppd
Manca una leadership
per la svolta del centro
LIBERO D'AGOSTINO
La congiunzione elettorale Plrt-Ppd è un’esperienza che si è chiusa questa domenica, 17 novembre, col ballottaggio per gli Stati, oppure può essere l’inizio di un nuovo percorso politico verso una grande forza di centro? È la domanda che incombe sul futuro dei due partiti che assieme rappresentano il 40% degli elettori ticinesi, mentre da soli sembrano condannati ad un declino programmato. Ma la possibilità di un’alleanza organica è pregiudicata dalla mancanza di una leadership, sia per i liberali radicali che per i popolari democratici, capace d’innescare e gestire un delicato processo di avvicinamento con l’obiettivo finale di una comune prospettiva. I politici promettenti ci sono: Alex Farinelli, Natalia Ferrara, Nicola Pini, Alessandro Speziali e Giacomo Garzoli, nel Plrt; Maurizio Agustoni, Giorgio Fonio, Marco Passalia, Sabrina Gendotti e Nadia Ghisolfi nel Ppd, volti emergenti, ma non ancora sufficientemente equipaggiati per segnare quella discontinuità necessaria ad una svolta storica.
Con una costante erosione dei consensi, i trend elettorali sono inesorabili per entrambi i partiti. L’affrettata congiunzione "tecnica" alle federali, più che a risollevarne le sorti, ha disseminato dubbi e perplessità sulle potenzialità di un’intesa che, svilita da un‘ambigua commedia degli equivoci, non favorirà la riflessione congiunta sul loro futuro. Mentre a sinistra e a destra si sono consolidate due coalizioni, l’area di centro resta disaggregata e in balia di un quadro politico molto più polarizzato. Quel 40% di elettori moderati che, notava Gerardo Rigozzi, una delle teste pensanti del Plrt, "chiede una politica di equilibrio e di sano compromesso, e che non ama gli estremismi" ha bisogno di una nuova rappresentanza che per ora non c’è. È su quest’area che Plrt e Ppd dovrebbero, e potrebbero, strutturare un progetto politico alternativo. Non calato dall’alto, ma da costruire con un dialogo e un confronto dal basso che investa sezioni e distretti, da sviluppare anche con iniziative comuni d’incontro e dibattito. Muovendo da ciò che unisce e non da ciò che divide o, meglio, "dal riconoscere le diversità per raggiungere l’unità", come suggeriva l’ex presidente liberal radicale Fulvio Pelli, citando il premio Nobel Tagore.
Nel Plrt si discute e si scrivono persino libri sui destini del liberalismo, visto con gli occhi di un radicale quale Arnaldo Alberti o con quelli meno ideologizzati di Ferrara, si produce analisi politica con Andrea Ghiringhelli, Rigozzi e Mauro Dell’Ambrogio. Si esplorano gli sviluppi delle relazioni tra democrazia liberale e pensiero scientifico con Giancarlo Olgiati, uno dei padri di "Ragioni critiche" e oggi vicepresidente della Water Academy di Lugano che in tre anni di attività ha acquisito fama internazionale. Manca, però, la sintesi politica nel vertice del partito.
Nel Ppd, a parte la voce solitaria di Agustoni, non si registrano, purtroppo, pubbliche riflessioni sul senso della testimonianza cristiana in politica, sull’attualità della dottrina sociale della Chiesa o sulla modernità del cattolicesimo liberale. In entrambi i partiti c’è una leva di giovani che guardano ad un’identità politica depurata dalle tossine delle contrapposizioni del passato. Non ci sono, però, veri leader. In grado di elaborare un nuovo significato del centro, di dargli una ragione d’essere che vada oltre l’opposizione al populismo, e creare un comune sentimento di fiducia per un’idea di Paese che prevalga sulle paure.
ldagostino@caffe.ch
(3 - fine / le precedenti puntate sono state pubblicate domenica 3 e 10 novembre)
17.11.2019