Il ripiegamento sui temi "locali" dei popolari democratici
La cultura del Ppd
ha un'anima identitaria
LIBERO D'AGOSTINO
Nella storia recente del cantone c’è una data che andrebbe segnata in grassetto: 27 ottobre 1990. Quel giorno il consigliere federale ppd Flavio Cotti in un convegno a Poschiavo sollecita il Ticino a rilanciare il progetto per un vero ateneo: "La Confederazione non mancherebbe di accompagnarlo con tutta la sua benevolenza" assicura. Fu l’input decisivo per la nascita dell’Università della Svizzera italiana. È stato, quello, il contributo più importante del Ppd nel ridisegnare la mappa culturale del cantone che, quattro anni prima, si era già arricchita di un’importante istituzione, la facoltà di Teologia, grazie anche all’impegno di Renzo Respini, altro noto esponente popolare democratico. Da allora, col declino del partito è andata anche scemando la sua politica culturale. Ritornata agli onori delle cronache locali qualche anno fa, ma solo per le veementi polemiche contro il Film Festival di Locarno reo di aver infranto le regole del pubblico pudore.
È stato questo il segnale più evidente della mancanza nel Ppd di una vera politica della cultura, capace di interpretare i cambiamenti della società, rielaborandoli in una visione più aperta della società e dell’evoluzione dei costumi. Nel programma di legislatura 2019-2023 dei popolari democratici il problema della cultura si riduce alla salvaguardia "delle bellezze artistiche e architettoniche lasciateci dai nostri antenati". Un patrimonio in parte "già compromesso e distrutto", per cui si chiede la creazione "di un fondo finanziario per la protezione dei beni storici tutelati negli inventari e nei piani regolatori comunali".
Necessità indubbiamente irrinunciabile, viste le devastazioni degli ultimi anni. Ma in questa prospettiva meramente "conservatrice", e dagli accenti "nostranisti", di un patrimonio culturale materiale, non si coglie l’effervescenza di quella "cultura diffusa" sul territorio che sollecita la partecipazione diretta dei cittadini, che crea dialogo e legami comunitari. Né tantomeno si parla della sua promozione come stimolo per la crescita civile e sociale del paese.
Si resta nell’angusto perimetro del passato, per quanto importante, dei luoghi, delle radici e degli antenati. Si nota, insomma, una sorta di afasia politica nel leggere le trasformazioni sociali che ha anche sospinto il nuovo vertice del partito sul terreno di una difesa identitaria non dissimile da quella professata dalla Lega. Radici e identità che rischiano però di restringere i nostri orizzonti, che non devono essere "la tana di un animale spaventato", ha ammonito monsignor Lazzeri nella sua omelia del 1. agosto sul San Gottardo. "Come possiamo dire di seguire il Signore - ha ricordato il vescovo -, se la preoccupazione unica e totalizzante per noi è per quelli del proprio sangue, della propria razza, della propria cultura, se non abbiamo il coraggio di accogliere un altro fermento nel cuore, che non sia quello della conservazione di sè del proprio modo di vedere le cose".
Oggi nel Ppd si riscontra un deficit di cultura politica e di politica culturale che, da un lato, non gli permette di recepire e metabolizzare gli strappi di una modernità che solleva nuove domande e nuove aspettative, e dall’altro di riattualizzare il grande patrimonio della dottrina sociale della Chiesa alla luce di quell’"umanesimo solidale", invocato da papa Francesco. Per gestire il cambiamento attraverso il progetto di una società non ripiegata su se stessa, abbozzolata in un mitico passato, ma aperta a modelli più inclusivi di relazioni umane e convivenza civile.
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(4 - continua)
25.08.2019