Il tycoon viene definito "un Robin Hood al contrario"
Gli errori in economia
del presidente Trump
ALESSANDRA BALDINI DA NEW YORK
I passi falsi di Donald Trump fanno tremare i mercati. La scorsa settimana sono stati i dazi - prima su acciaio e alluminio e poi sull’import di beni cinesi - ad alimentare timori di guerre commerciali regalando a Wall Street un ruzzolone da 1.100 punti in 24 ore. Trump, che spesso viene paragonato a Richard Nixon non solo per il suo disprezzo per l’etica ma anche per l’approccio politico-elettorale all’economia, parlava al ceto medio del Midwest quando ha minacciato di penalizzare lavatrici e pannelli solari della Cina, senza considerare però che un iPhone assemblato per Apple dalla cinese Foxconn ha in realtà solo il 3,6% del valore prodotto in loco: il resto viene da fornitori in Giappone, Germania e Corea lungo quelle che gli economisti chiamano "catene globali di valore" prima dell’assemblaggio finale. La Casa Bianca sembra non riconoscerlo: agisce come in un mondo che non esiste più da decenni.
Non è la prima volta che Trump fa il tonfo in materia economica: tra i suoi primi passi falsi c’è stata l’ostilità verso gli alleati più collaudati: il presidente messicano Enrique Pena Nieto per il Muro, il premier canadese Justin Trudeau e ancora Nieto per la Nafta. A seguire, le tensioni con l’Europa, tra fondi Nato e accordo commerciale transatlantico. La mano tesa alla Gran Bretagna di Brexit l’ha sabotata lui stesso, con ingerenze politiche che hanno mandato su tutte le furie la premier Theresa May. Infine le incomprensioni con mezza Asia per la cancellazione dell’altra intesa transpacifica firmata nel 2015 da Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam oltre gli Stati Uniti.
Clamorosa per i riflessi economici anche la decisione sul "climate change". Il primo giugno 2017 Trump ha sfilato gli Usa dal Protocollo firmato a Parigi nel 2015 da tutti i Paesi del mondo tra cui l’America di Barack Obama. E anche se il processo di ritiro si completerà solo nel 2020, la mossa rischia di far nascere un nuovo asse Pechino-Bruxelles contro l’export americano. In cambio del no all’accordo sul clima, Trump ha promesso un piano di salvataggio del "bellissimo carbone pulito". Ma i progetti per rivitalizzare l’industria mineraria sono stati bocciati in gennaio all’unanimità dall’authority federale dell’energia. A votare contro, ironia della sorte, anche i tre nuovi commissari nominati dal tycoon.
E poi le omissioni del maxi piano per le infrastrutture. Tutto vago e comunque pagheranno gli Stati. Senza arrivare a quel che ha detto Bernie Sanders, secondo cui Trump "ha applicato il principio di Robin Hood alla rovescia: toglie alla middle class per dare ai ricchi", la riforma fiscale del tycoon fa guadagnare soprattutto l’1% degli americani più abbienti penalizzando il ceto medio di "Stati Blu" come New York, New Jersey, California, Connecticut che nel novembre 2016 avevano preferito Hillary Clinton. Anche Nixon nel 1971 ritirò gli Usa dall’accordo di Bretton Woods e impose una sopratassa su tutte le importazioni. Con contraccolpi nell’economia globale e la rabbia delle nazioni alleate già a disagio per la guerra del Vietnam. Nixon aveva in mente un solo obiettivo: le elezioni del 1972. Le sue misure economiche di emergenza miravano solo e soltanto a quello. Alla fine vinse alle urne, ma a un prezzo altissimo: seguì un decennio di stagflazione che danneggiò pesantemente gli stessi elettori di cui il presidente del Watergate si dichiarava paladino.
25.03.2018